Per non dimenticare. Perché solo ricordando (forse) possiamo non replicare l’orrore
Dietro alla cattedrale di Córdoba c’è un luogo che nella sua nudità contiene storie quasi intollerabili. È il Museo de la memoria, istituito nei locali usati negli anni Settanta dal dipartimento di spionaggio della polizia per imprigionare e torturare decine di migliaia di oppositori politici poi spariti nel nulla. Il centro è un labirinto di celle e minuscoli cortili in cui i detenuti erano costretti a circolare bendati. Solo il suono delle campane della cattedrale ha consentito ai pochi sopravvissuti di riconoscere il luogo.
Il centro è rimasto com’era, con i muri scrostati e la squallida scrivania usata per gli interrogatori. Cammino da una cella all’altra in punta di piedi, come in chiesa, consapevole di muovermi in uno spazio reso sacro dal dolore delle vittime e dei loro familiari. Le foto dei desaparecidos alle pareti mostrano i volti di persone giovani, a volte giovanissime: studenti, insegnanti, operai, sindacalisti, famiglie intere portate via di…
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